Chi è solito vedere i film di Lars Von Trier, non avrà alcun problema ad approcciarsi al suo ultimo lavoro, “The House That Jack Built”, un’opera tranquilla come una gita in kayak nelle rapide dell’Inga in Congo. Del resto parliamo dello stesso autore di “Nymphomaniac”, un film controverso da guardare rigorosamente a pranzo con tutta la famiglia. Era da tanto che non m’imbattevo in un lavoro cinematosplendido capace di colpire duro e di soddisfarmi completamente dal primo all’ultimo minuto. Neppure i migliori capolavori di Sasha Grey erano arrivati a tanto. Perché Von Trier quando si mette dietro la macchina da presa, lascia sempre il segno. Come Rocco Siffredi quando si mette dietro Sasha Grey. Il regista danese è un Denim, l’autore ideale per l’uomo che non deve chiedere mai. E anche per la donna ovviamente. Per i bambini un po meno, forse per loro è più indicato rincoglionirsi con il video di “Baby Shark”.
La storia di “The House That Jack Built”, vede come assoluto protagonista un Matt Dillon talmente in forma da offrire una prestazione “pecorino sardo”. Più in forma di così, non mi vengono altri paragoni. Dillon, nella parte del Jack del titolo, è un ingegnere con l’ambizione di diventare un architetto, una persona turbata che diventa un serial killer affetto da sindrome ossessivo compulsiva che agisce nello stato di Washington. Il film presenta una parte della sua vita e i dodici anni di “attività” da cui Jack estrapola cinque casi da lui identificati come “incidenti”, momenti che racconta a un personaggio di nome “Verge” di cui quasi fino alla conclusione della vicenda, sentiremo soltanto la voce. Una volta diventato un serial killer come si deve, Jack inizia a firmarsi come “Mr. Sofistication”. Sembra quasi il nome di un supereroe Marvel o DC, magari con la “S” sul petto. Dove “S” in quasto caso sta per “Stronzo”. Perché Jack è un vero bastardo. Un uomo intento a compiere il suo viaggio interiore verso l’inferno – e i richiami a Dante e alla Divina Commedia non saranno per nulla celati allo spettatore – senza guardare in faccia a nessuno. Famiglia, amici, amanti… nessuno ce la fa contro Gundam! Scusate ma il mio lato nerd ogni tanto prende il sopravvento. I vari incidenti scelti da Jack, vengono narrati in capitoli di lunghezza differente, cinque come dicevo sopra, ognuno incentrato su un assassinio in particolare. I protagonisti delle quasi due ore e mezza di visione sono una logorroica sconosciuta che ha forato una gomma e chiede un passaggio, una vedova con cui si finge un assicuratore, una madre con due figli piccoli e una giovane bionda sveglia come la Cipriani.
Vediamo così Jack compiere i primi passi in cui rischia pure di essere scoperto. E subito parte in testa la canzoncina “Devi farne di strada bimbo, se vuoi scoprire com’è fatto il mondo… con il tuo fucile chicco, uccidi la gente….” e quasi scende una lacrima ripensando a quella vecchia pubblicità. Il tutto fino all’apice finale, in cui assistiamo a una vera e propria “catabasi infernale” del protagonista, ovvero la discesa di una persona viva nell’Ade. Tipo Sirio il Dragone nella casa del Cavaliere d’Oro del Cancro nei Cavalieri dello Zodiaco tanto per capirci. Nelle prime fasi della vicenda, il lato ossessivo compulsivo di Jack ci viene mostrato in modo prepotente, soprattutto quando rischia di essere scoperto da un poliziotto a forza di fare avanti e indietro in una casa dove immagina sempre di aver lasciato una macchia di sangue da qualche parte, vuoi sotto un tappeto o dietro un quadro. Mi sono rivisto in lui quando mi prendo male se non metto le pantofole perfettamente allineate sotto il letto. E potrei fare altri mille esempi. In effetti mi sono resto contro di avere un piccolo Jack dentro di me.
Insomma, abbiamo a che fare con serial killer quasi simpatico e capace di strappare un sorriso. Ritengo doveroso citare anche il suo lato “Capitano Findus”, una componente importante e capace di far sorridere il sofficino. Jack infatti deposita le sue vittime in una cella frigorifero e si diverte a congelare i cadaveri dopo averli fatto assumere una determinata posa. Quando uno è un vero artista, mi pare giusto usare il proprio talento.
Fantastico tra l’altro l’inizio del film, dove nei panni dell’automobilista in panne abbiamo una Uma Thurman chiacchierona che in più occasioni si diverte a fare battute circa il non salire mai in macchina di uno sconosciuto, arrivando perfino a definire Jack come un individuo con la faccia da serial killer. Complimenti vivissimi signora, ha vinto un gratta & vinci.
Come avrete capito, questo film mi è piaciuto tantissimo. Per tutta la sua durata, Matt Dillon sembra davvero uno psicopatico, un antieroe che ci porta nel suo personale viaggio alle radici del male celate nell’animo umano. Ottimo anche dal punto di vista tecnico, dove soprattutto nella parte finale il film ci mostra il meglio, con immagini che sembrano uscire direttamente da una galleria d’arte.
Violento, disturbante e grottesco, non manca niente a “The House That Jack Built”, motivo per cui mi sento assolutamente di consigliarlo a chiunque. A mio avviso ci troviamo davanti a un lavoro notevole e d’indubbio spessore.
Chiudo con un saluto al grande Bruno Ganz, qui nel suo ultimo film. Ciao Bruno e grazie di tutto.