Ieri notte ho recuperato “The Head Hunter”, un horror medioevale il cui protagonista lo vedrei bene sulla copertina di un cd dei Manowar, oppure direttamente sul palco a suonare il basso nella band finlandese dei Lordi. Il film è diretto da tale Jordan Downeyil, autore anche della sceneggiatura insieme a Kevin Stewart, una delle menti dietro quel cappiolavoro di “Unfriended: Dark Web”. Quando le premesse sono scoraggianti come un film con Paris Hilton. La durata totale di questo lavoro è di appena 1h10′, per cui mi aspettavo tanta azione, colpi d’accetta sul cranio di qualche sfigato come se non ci fosse un domani. E via a pregare il Dio Odino e a chiedere il suo perdono per aver rubato da piccoli la merendina al povero Bjorn durante la ricreazione. Invece non abbiamo niente di tutto questo, ma solo il Messner dei fiordi in cerca di vendetta in un film pieno di neve. Già, perché in questo titolo abbiamo neve, panorami, e panorami con la neve. Poco altro.
La storia si apre con un primo piano del nostro eroe cacciatore, che altezza a parte, mi ha ricordato Gimli e le miniere di Moira. Devo dire che se Sauron avesse voluto porre fine a tutto dopo soli 5 minuti, mi avrebbe fatto un piacere, invece mi è toccato arrivare quasi nel Valhalla. No dai, non voglio essere troppo cattivo, in fondo si tratta di un prodotto onesto. Ma andiamo con ordine.
Il protagonista di questo “Snowmovie” è un guerriero solitario di cui non sapremo mai il nome, e siccome è appunto sempre da solo, lo chiamerò Bobby. Bobby ha un unico scopo nella vita, oltre quello di lasciare le orme nella neve, ovvero trovare e uccidere la creatura che ha assassinato la giovane figlia. In Bobby we trust.
La foresta dove il nostro eroe di aggira in cerca di questa amabile figura, pullula di mostri di ogni tipo. L’uomo infatti è solito uscire per andare a caccia e rientrare nella sua casetta sperduta nel bosco con tanto di una testa mozzata e ferite varie ed eventuali sparse per tutto il corpo. Troll, Lupi Mannari, Toto Cutugno… il caro Bobby porta sempre con se un trofeo. Cosa importantissima, prima di uscire di casa il nostro Bobby usa un temperamatite gigante per fare la punta a un pezzo di legno che poi conficca nel muro, dove a sua volta infilza la testa di turno. Bobby è un uomo organizzato. Bobby è anche un farmacologo, infatti produce da se unguenti e pomate. In una scena usa un intruglio color topo tritato per curarsi una ferita sulla spalla profonda come il fosso di Helm, è mi sento di escludere si trattasse di lasonil.
Insomma, questa a grandi linee è la vita ricca di avventure del nostro protagonista, e non sarebbe neppure male assistere a uno spettacolo di mostri fatti a fettine e venduti all’Eurospin, invece la prima nota dolente del film è che praticamente nessuno scontro ci viene mai mostrato. In diversi momenti del film, si sente il suono tipo di un corno e a quel punto vediamo Bobby temperare il bastone dell’amicizia, mettersi l’elmo, uscire di casa, non ritirare la posta, prendere il suo cavallo, tornare con una testa in un sacco, infilzare la testa nella matita, curarsi le ferite e via con la seconda manche. Bobby trascorre così anni della sua vita con il solo pensiero della vendetta, e noi spettatori invece, se fosse possibile, vorremmo fare due chiacchiere con il regista e chiedergli perché non regalarci una bella mattanza al posto di un documentario sulla Scandinavia.
Cosa non da poco, i primi quaranta minuti circa sono quasi completamente senza dialoghi e questo non aiuta in un film praticamente privo di azione. Non che in seguito ce ne siano di memorabili sia chiaro, anche perché il nostro amico Bobby al massimo avrebbe potuto intavolare una discussione con un paio di licheni. Certo se l’idea del regista era quella di trasmettere un profondo senso di solitudine del guerriero, ci è riuscito benissimo. Così bene che pure io mi sono sentito talmente solo che a un certo punto mi sono messo a parlare con la borsa dell’acqua calda.
Almeno nella parte finale “The Head Hunter” mostra finalmente una creatura è si arriva così a l’unica porzione di film capace di dare qualcosa di più, e chiudere in modo quanto meno degno questo lavoro onesto ma poco incisivo. Quando mi trovo davanti a simili produzioni, per quanto nella recensione non ci sono andato leggero come un fiocco di neve, non mi sento di bocciarle del tutto, perché il budget non era sicuramente elevato e la storia almeno non è una trashata cinematopenica come tanta roba che mi capita di vedere, tipo horror indiani da 2h su Netflix, però non possono nemmeno esimermi dal dire che quanto proposto è davvero troppo poco, soprattutto per uno spettatore esigente. Però la neve è bella e bianca e fa venire la voglia di fare pupazzi. In conclusione, se vi piacciono le ambientazioni nordiche, i guerrieri con teschietti al collo e lunghi silenzi, magari potete anche provare a vederlo. Inutile dirvi che deve piacervi anche la neve.