Nella città svedese di Göteborg è stato effettuato uno studio per verificare gli effetti della riduzione della giornata lavorativa dei dipendenti, mantenendo lo stesso salario. Dopo due anni di sperimentazione, è stato dimostrato che gli infermieri di una casa di riposo erano più produttivi, richiedevano meno congedi per malattia e si dichiaravano molto più soddisfatti del loro lavoro.
Chiaramente la riduzione della giornata lavorativa ha aumentato i costi nelle aziende che hanno fatto questa sperimentazione, per cui questa misura non è stata generalizzata. Tuttavia si è riaperto un vecchio dibattito: dovremmo lavorare meno non solo per essere più felici, ma anche per dedicare più tempo alle nostre famiglie. È fattibile per le aziende e/o lo stato ridurre l’orario di lavoro senza che questa misura comporti un abbassamento degli stipendi?
In un’Europa sempre più vecchia e in stati come l’Italia in cui l’età di raggiungimento della pensione avanza sempre più, quanto influisce il ritmo di lavoro sulle persone più anziane?
Per rispondere a questa domanda, un’università australiana ha pubblicato un rapporto con i risultati preliminari di uno studio partito nel 2016 e in cui mostra che le persone con più di 40 anni sono più produttive quando lavorano, al massimo, tre giorni a settimana.
Secondo i risultati, fino alle 25 ore lavorative settimanali si verificava un miglioramento delle capacità cognitive, cosa che non succedeva quando si aumentava arrivando fino alle classiche 40 ore. Inoltre, il miglioramento era identico per uomini e donne.
Più ore a scaldare la sedia non equivalgono a più produttività
Anche se siamo abituati a giornate di lavoro interminabili e ci ritroviamo spesso a lavorare anche nei weekend, è sempre più evidente che “alle volte” lavorare meno può significa produrre di più. Inoltre, la società Draugiem Group ha realizzato uno studio usando i dati della sua applicazione DeskTime per capire le abitudini dei suoi lavoratori più produttivi.
I risultati hanno rivelato che molti dei suoi impiegati top non erano quelli che facevano gli straordinari, ma quelli che lavoravano le otto ore. Inoltre, questi impiegati erano abituati a fare pause regolari durante la giornata , in particolare 17 minuti ogni 52 giorni di lavoro. Un fatto che indica, ancora una volta, che “riscaldare la sedia” non significa produrre di più, e che un equilibrio adeguato per conciliare il lavoro con gli impegni familiari e i momenti di riposo è un bene per tutti, sia i datori di lavoro che i lavoratori.
Kajitani et al. 2016. Use It Too Much and Lose It? The Effect of Working Hours on Cognitive Ability. Melbourne Institute Working Paper No. 7/16.