Iniziamo immediatamente col precisare che lo yoga mindfulness, si basa sull’apprendimento di talune asana, ovvero posture, non diverse da quelle che vengono generalmente insegnate nei corsi di hata yoga. La discordanza principale consiste nell’utilizzo dello yoga come una sorta di raccoglimento formalizzato. Esclusiva passionalità viene attribuita alla concentrazione delle sensazioni corporee nel corso del compimento delle asana, nello stesso modo in cui si impiega l’attenzione durante gli altri tipi di meditazione, come la preparazione del respiro o la riflessione dei suoni.
Quando si insegna lo yoga durante un percorso di mindfulness, l’oggetto primario dell’attenzione è caratterizzato dalle percezioni del corpo nel corso dell’esecuzione delle asana, dal constatare quando l’attenzione viene persa e nel ricondurre l’attenzione a quelle percezioni. Da questo punto di vista, l’attività dello yoga è, in senso stretto, esperienza della mindfulness. Ciononostante vi è una caratteristica che rende lo yoga mindfulness molto coinvolgente. Ci riferiamo a quello che Jon Kabat-Zinn definì “lavorare sui limiti“.
Anche se potrebbe sembrare assurdo afferrare appieno questa nozione senza sperimentarla personalmente, può essere efficace sapere che questa ha a che fare con il riconoscimento dell’influenza che l’attività intellettiva ha sulla conoscenza dei propri limiti e, conseguentemente, sulla percezione della realtà.
Per esempio, durante il compimento di un’asana alquanto laboriosa, ci si può rendere conto di quanto, ripetutamente, la mente ci suggerisca o esiga di sospendere la postura perché si è arrivati al limite di sopportazione dello sforzo o del dolore. Ma basta ricondurre per un attimo la concentrazione alle percezioni in quanto tali, non filtrate dalla decodificazione che ne fa la ragione, per rendersi conto che il limite in realtà non è stato ancora raggiunto.