Ieri notte ho visto questo “Pyewacket” di Adam MacDonald, autore tra gli altri del buon “Backcountry”, un film con assoluto protagonista un orso simpatico e in cerca di amici con cui fare colazione. Nel senso che loro erano la sua colazione. Preciso subito che il bravo Adam non c’entra niente con la nota catena di panini e patatine fritte, così vi levo immediatamente dalla mente questo peso che sono certo vi sareste portati dietro per tutta la recensione.

Pyewacket è uno di quei film horror dove il centro della storia ruota intorno a un dramma famigliare, in questo caso rappresentato dal difficile rapporto tra una giovane ragazza di nome Leah e sua madre. Subito dopo la morte del padre, Leah si rifugia nell’amicizia con alcuni compagni di scuola amanti dell’occulto come lei, anche perché la madre, incapace di voltare pagina, riversa tutta la sua tristezza nell’alcool con tanto di sfoghi d’ira rivolti proprio alla povera figlia. Una storia allegra e ricca di arcobaleni e orsetti del cuore insomma. Soprattutto nei primi minuti di questo film, si ha giusto la sensazione di trovarsi davanti a una vera stronza, merito anche dell’ottima prova di Laurie Holden, già vista in “The Walking Dead”, ma considerata la perdita subita dalla donna, viene quasi naturale cercare di giustificare i suoi atteggiamenti da madre scassapalle di 5° dan.
Un giorno la nostra giovane protagonista partecipa a una serata in una libreria dove l’autore di un libro famoso riguardante proprio l’occulto, firma le copie ai suoi fan. Affascinata da quella lettura e in seguito all’ennesima litigata con la madre, Leah decide di evocare un demone di nome “Pyewacket” attraverso un rituale affinché quest’ultimo uccida la mamma. E il premio figlia dell’anno 2019 è andato per mancanza di avversari dello stesso livello.

Io capisco incazzarsi con i propri genitori, sono certo che sarà capitato a ognuno di voi, soprattutto i giovane età, di mandarli a cagare… magari anche solo con il pensiero, una tattica funzionante per evitare di conoscere il battipanni. Detto questo, penso che arrivare a evocare un demone sia un tantino esagerato, probabilmente anche Pazuzu si sentirebbe offeso a essere cercato per così poco, se avessi fatto la stessa cosa ogni volta che mio padre mi faceva incavolare, avrei finito sicuramente tutto l’almanacco dei demoni da evocare dalla A alla Z.
I giorni seguenti, Leah inizia a riavvicinarsi alla madre e piano piano le due ritrovano l’unione di un tempo e il piacere di stare insieme, ma proprio quando le cose sembrano andare per il meglio, iniziano a capitare alcuni fatti che Leah ricollega al suo rituale della festa della mamma. Spaventata e preoccupata per quanto fatto, alla ragazza non resta altro da fare che cercare un modo per poter fermare l’arrivo del demone del telefono azzurro. Inutile dire che la cosa non sarà affatto semplice e Leah si ritroverà ad affrontare un pericolo non solo più grande di lei, ma anche di Giampiero Galeazzi.

Personalmente ho trovato questo un buon film in quanto tale, ma poco propositivo sul versante horror in senso stretto. Il rapporto difficile tra una madre e una figlia è molto ben costruito, così come le difficoltà della vita che possono presentarsi davanti a un adolescente. Del resto se una arriva a evocare il demonio invece di un semplice ed efficace gesto dell’ombrello a genitore rigorosamente di spalle, non poteva essere altrimenti. Peccato che quando dovrebbe premere sull’acceleratore per regalare tensione, il tutto risulta troppo lento e privo di guizzi particolari, salvo in un paio di sequenze.
Considero ammirevole la scelta del regista di non affidarsi ai soliti jump-scare e cose viste troppe volte, eppure penso che alla luce anche di una riuscita scena verso la fine del film, si poteva fare di più per turbare lo spettatore.
Resta in ogni caso un lavoro interessante e con una conclusione da ricordare.